Umberto Cantone: ritratto di un “uomo che sta in attesa”

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L’incontro con l’attore e regista, ex vice direttore del “Teatro Biondo” di Palermo

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di Anna Studiale

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Umberto Cantone è un intellettuale palermitano, attore e regista teatrale, rappresentante significativo del panorama culturale italiano. Attivo collaboratore anche della pagina culturale de “La Repubblica”, quotidiano in cui cura una rubrica di percorsi della memoria letteraria, cinematografica e teatrale

Oggi è un uomo che, alla soglia dei suoi sessant’anni ama ancora stare sulla strada tra coloro che vogliono riscoprirsi e mettersi in gioco, consapevoli della ricchezza di vivere una vita in continuo divenire.

Nota costante della sua esistenza la magia del palcoscenico unita a quella del cinema, due universi che si sono spesso intersecati creando dei percorsi artistici ed umani che oggi lo hanno reso un uomo ricco di sapere, amante della cultura ed appassionato custode della conoscenza tradotto in materiale di diverso genere, tantissimi libri e pellicole che custodisce nella sua preziosa biblioteca personale.

Per capire meglio la ricchezza di Umberto Cantone basta fermarsi a “sbirciare” un po’ tra i suoi percorsi artistici e professionali all’interno dei quali un’importante tappa, dal 1978 al 2016, è rappresentata dalla sua collaborazione col Teatro Biondo Stabile di Palermo. «Ho iniziato  nel 1978, avevo 17 anni ed ho avuto sin da subito la fortuna di lavorare, oltre che con i più grandi attori del tempo, quella di incontrare colui che ha gettato le basi della tradizione del teatro palermitano, Franco Scaldati, grazie al quale mi sono subito inserito nel circuito del teatro “Biondo”», si racconta così Cantone a proposito del suo esordio, un’esperienza che gli ha permesso di crescere sia come attore calcando durante delle lunghissime tournées tutta la Penisola ma anche di portare avanti il suo impegno per la regia teatrale, sua vera passione, che oggi ha il nome di diverse opere di autorevoli drammaturghi che egli ha egregiamente portato in scena; per farci un’idea basta citare alcune tra le pièces delle quali ha curato la regia oltre che attore sulla scena tra le quali citiamo “La stanza / Un leggero malessere”, di Harold Pinter (2010), “Zio Vanja”, di Anton Čechov, con Galatea Ranzi, Nello Mascia (2011), “La mandragola”, di Niccolò Machiavelli, con Nello Mascia, Sergio Basile, Luciano Roman (2011), “Dansen / Danza di morte”, di August Strindberg, con Nello Mascia, Liliana Paganini (2012), “Il fiore del dolore”, di Mario Luzi (2013), “Sangue sul collo del gatto”, di Rainer Werner Fassbinder (2013), “Assassina”, di Franco Scaldati (2014),”Titì e Vincenzina”, di Franco Scaldati (2016). Ma non mancano nella carriera di Cantone il suo ruolo di insegnante attento di recitazione oltre che un’importante stagione da vice direttore del Teatro “Biondo”, dal 2010 al 2013. “L’esperienza di vice direttore è stata un’opportunità che mi ha consentito di guardare la realtà di questo teatro da una prospettiva diversa rispetto a quella di attore o regista; mi sono reso conto del funzionamento di determinati meccanismi amministrativi ed ho capito di quanto importante sarebbe per questa realtà diventare un teatro nazionale non solo per quello che è il suo lato artistico ma soprattutto per la progettualità che ne verrebbe fuori. Sono consapevole, infatti, che le più grandi esperienze culturali italiane nascono da un’intenzionalità da parte delle Amministrazioni di investire su quelle date realtà, ci vogliono proprio le risorse pubbliche che oggi per ignoranza siamo soliti considerare degli orpelli, a garantire la ricchezza della progettualità e programmazione artistica nel tempo”, riflette ancora Umberto Cantone a proposito delle ricche potenzialità che riconosce al “Teatro Biondo”, oggi gestito da un’associazione che al suo interno comprende anche una fondazione mentre su quello che è il presente del teatro palermitano lo stesso aggiunge, “trovo che il teatro palermitano sia un’invenzione mentre è doveroso parlare di un rapporto col territorio che è giusto che si abbia; apprezzo tutti quei giovani che vi investono anche scrivendo dei testi e mettendoli in scena, un fenomeno già diffuso in tutta l’Italia, ma penso che tutto ciò necessiti di una proficua cernita tra coloro che sono più validi rispetto ad altri che lo sono di meno spingendoli non su un piano solo provinciale ma nazionale ed anche internazionale”.

Riflessioni che sollevano il fabbisogno di circuiti sensibili in cui un attore possa inserirsi e che fungano da volano e che oggi scarseggiano sia in Sicilia quanto in Italia. È così che il discorso di Cantone si allarga anche al cinema, altra sua grande passione: “Per me così come per tutta la mia generazione il cinema è stato lo strumento privilegiato mediante il quale mi sono approcciato alla cultura ed alle altre arti; si tratta, infatti, di un’arte di sintesi ma è soprattutto un viatico di conoscenza”, afferma, ed il suo discorso si allarga nella narrazione minuziosa e dettagliata di quello che per lui è un genio del cinema di tutti i tempi, Stanley Kubrick, del quale ha curato la pubblicazione di una sua monografia. «Avevo nove anni quando vidi per la prima volta al cinema “2001: Odissea nello spazio” e, ricordo, che uscii dalla sala arrabbiato, irritato per una pellicola misteriosa ed anche misterica che ci introduceva in una letteratura ed estetica nuove che non capivo», racconta Cantone aggiungendo, “si tratta di un film di sintesi che ebbe un grande impatto sulla percezione degli spettatori ma, dopo averlo visto diverse volte, cominciò ad affascinarmi, ho provato a capirne le diverse interpretazioni possibili legandomi anche con il suo autore; per me Kubrick è soprattutto un modello di atteggiamento estetico con la modernità e il suo merito è quello di averci insegnato la ricerca di un punto di equilibro tra innovazione e tradizione”. Un rapporto “speciale” quello che lega Cantone al grande regista scomparso ma non si sottrae a parlarci di come vede il presente del cinema siciliano e, più nello specifico, palermitano: «Così come per il teatro uno specifico del cinema palermitano non è mai esistito; negli anni Novanta si parlò di “scuola siciliana” dopo il successo di Giuseppe Tornatore con “Nuovo Cinema Paradiso”. Solitamente i movimenti di cinema di coagulano attorno a delle figure legate a diverse arti qui, in Sicilia, però non è accaduto tutto ciò. Abbiamo avuto un momento fervido che poi si è disperso. Abbiamo avuto la figura di Ciprì & Maresco, i due cineasti più importanti che in Italia hanno saputo tracciare una loro linea di stile che è quello che il cinema deve sapere elaborare oltre ad avere inventato il loro stile con una certa attenzione anche alla tradizione: i loro paesaggi ricordano quelli di John Ford». E questo nonostante la Sicilia e Palermo abbiamo avuto in glorioso passato cinematografico, “nei giornali dell’epoca si parlò di una Hollywood siciliana grazie a diversi cineasti che la scelsero come teatro privilegiato”, aggiunge ancora Cantone sottolineando l’importanza che hanno gli archivi e le cineteche per gli studiosi, gli appassionati di cinema e, soprattutto per le giovani generazioni nella consapevolezza della centralità della “settima arte” nella formazione umana e culturale per l’uomo di oggi.

Da qui il ritratto di Umberto Cantone prende i colori di uomo che, nonostante abbia fatto diverse esperienze artistiche, ama ancora, alla soglia dei suoi sessant’anni, riscoprirsi e mettersi in gioco, ”mi sento sempre su una soglia fra dentro e fuori, mi piace starci guardando l’orizzonte ma anche avere la percezione che dietro di me c’è stato qualcosa; la mia è una posizione di un uomo che sta in attesa”, riflette ancora Umberto non senza l’accenno di un suo sorriso.

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